10.23.2006

JEAN-MICHEL BASQUIAT

Muri di pietra, compensati rigonfiati dalla pioggia, tele strappate dal vento, fogli di carta accartocciati. Poi colori, tanti, che riempiono spazi bianchi, colori graffiati, che salgono, preghiere rivolte ad un cielo in cui non si crede fino in fondo ma nel quale si spera. Scale che portano da qualche parte, in un luogo indefinito, ma vanno. Corone per re che re non saranno mai. Personaggi da una realtà di fumetti, che vive parallela a quella vera, in un mondo che non c'è. Tetti di una non ben definita casa, tetti che si sorreggono da soli, senza muri, volano in cieli azzurri sospesi nel vuoto. Negri isolati, radiografati, sanguinanti. Identità sospese. Sonorità intense.
Ideologia e filosofia, archetipo primitivo e immagine tecnologica, visioni notturne metropolitane, sacro e profano, Bibbia e vudu, leggende, ombre, illusioni, contraddizioni e senso dell’estremo, infanzia e alienazione, rabbia e denuncia sociale, rap, funky e jazz, storia dell’arte e anatomia.
Sono solo gli occhi di un bambino grande, di un grande genio afflitto dalla consapevolezza dell'immutabilità, della vanità di ogni tentativo di comprensione. Un bambino che si arrende alla ineluttabilità, che si lascia cadere e si trascina in un mondo che lui sa non esistere.

10.04.2006

COSI' DIVERSE. COSI' UGUALI.